mercoledì 1 giugno 2011

L'isola di Vale

Inizio con un bel libro, di quelli che, dopo averli letti, rimangono nel cuore a lungo, forse anche per sempre. L'ho letto dopo aver conosciuto un bambino di nome Arturo, biondo con gli occhi chiari, che, a dire la verità, assomiglia più all'immagine che ho di re Artù che ad Arturo Gerace. E' una storia semplice semplice, fatta di pochi personaggi, ambientata in un'isola dalla natura lussureggiante e maestosa ma è pur sempre un romanzo appassionato, un percorso che porta dall'infanzia all'adolescenza, dal bambino al giovane uomo.

L’isola  di Procida è lo sfondo della storia:  una grande madre che racchiude dentro di sé tutto, mare, scogli, boschi ma anche castelli e prigioni. Un luogo che ha tutto quello di cui il piccolo Arturo ha bisogno. E’ il regno dove lui domina  incontrastato, con le sue regole, senza il controllo di alcun adulto, con le stagioni a scandire i ritmi della vita di tutti i giorni. Un bambino senza madre e con un padre in giro per il mondo che cresce da solo, come un selvaggio, in una grande casa ereditata da un vecchio scorbutico e misogino.  Arturo vive in compagnia della sua cagna Immacolatella, tra letture di storia, avventure e fantasticherie sul padre che rappresenta per lui un vero e proprio eroe.

Tutto cambia quando entra nella vita del piccolo un nuovo personaggio, Nunziata, la nuova moglie del padre, una  ragazza di poco più grande di lui che si stabilisce con loro nel castello dei Gerace. All’inizio, Arturo  è geloso dell’affetto del padre per lei ma poi se ne innamora. E’ la prima donna che conosce, è affascinato dalla sua bellezza e dalla sua arguzia, lui che prima di allora aveva sempre pensato che le donne, a parte la madre trasformata nella figura di una santa, quasi non esistessero.

Insomma il piccolo Arturo grazie a Nunziata inizia a vivere, a confrontarsi con i suoi sentimenti, con gli altri, con il mondo. Certamente comincia a ridimensionare anche la figura del suo eroe per eccellenza, il padre, di cui piano piano delinea tratti più umani e del quale scopre molte debolezze. Ne rimarrà deluso.

Il suo allontanamento dalla fase fanciullesca, sognante, spensierata si va progressivamente accentuando fino a che, quella che un tempo era una terra sconfinata e avventurosa, diventa una piccolissima isola da cui scappare il più in fretta possibile per afferrare la vita e affrontarla di petto.

E’ impossibile non amare questo libro ed è impossibile non vedere un po’ di sé stessi in Arturo Gerace. Ritornare con la mente a quando un semplice giardino sembrava un parco immenso e tutto era possibile. Quando ogni giorno si poteva essere diversi, un giorno l’astronauta e quello dopo il giardiniere.

E’ un libro profondo e coinvolgente e, nonostante la prima edizione sia del 1957, non mostra alcun segno di vecchiaia. La crescita ed il suo percorso psicologico coinvolgono o hanno coinvolto tutti, anche se siamo nati in epoca ormai lontana da quella di Arturo. Da una realtà fatta di avventure e sogni si passa con lo scorrere delle stagioni alla conoscenza del dolore, le persone si trasformano da eroi ad esseri umani fallibili e le delusioni si fanno cocenti. Arturo però ne esce desideroso di fare la sua parte nel mondo, è pronto a partire per conoscere tutto quello che c’è fuori. E’ un libro che consiglio se non altro perché ci farà venire la voglia di andare a riscoprire l’isola che è dentro di noi.
Elsa Morante, L'isola di Arturo, Einaudi, 1957

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