lunedì 18 marzo 2013

Per non dimenticare!

Ancora qualche filastrocca toscana che cantiamo con le mie bimbe giornalmente: che la grande canta a memoria e la piccola riconosce  con gridolini e primi tentativi di ballo. Niente di nuovo, tutte conosciute, tranne la prima che forse è la sola “tipica” del mio paese e, comunque,  tutte personalizzate non so più se dalla mia famiglia o dalla nostra comunità. In questo caso ci sono riferimenti a luoghi e personaggi che fanno parte del nostro patrimonio identitario ovvero il convento di san Francesco e santa Barbara, santa importante e molto rispettata nelle mie zone.

Cavallino ria rò
prendi la biada che ti dò
prendi i ferri che ti metto
per andare a San Francesco
a San Francesco c’è una via
che ti porta a casa mia
a casa mia c’è un altare
con tre monache a cantare
ce n’è una più vecchietta
santa Barbara benedetta!

Questa me la cantava nonna Idea livornese, trapiantata in Maremma, non la conosce nessuno al mio paese o almeno mi pare di ricordare così. Potrebbe trattarsi di una filastrocca della sua infanzia che lei mi ha tramandato. Al mio paese si racconta staccia buratta che risulta quasi uguale ma non proprio la stessa.


Staccia stacciante
le pecorine tante
l’uovo del colombo
alla mi’bimba le fa sonno
sonno sonnaro il mese di gennaro
Gennaro andò alla festa con la ghirlanda in testa
Credeva fosse d’oro invece era di ginestra
La ginestra si strappò e
la mi’bimba s’addormentò

Questa me la raccontava nonno Treves, una vera e propria miniera di patrimonio folcloristico-tradizionale, me ne ha raccontate tantissime e, per fortuna, proprio come lui ho ancora una buona memoria. C’è voluto un po’ di sforzo collettivo per ricostruirla ma aiutata dai parenti ce l’ho fatta e ora non facciamo altro che ripeterla!
Piovere o non piovere
domani si va a Lovere.
Trovai una fonticina:
mi ci lavai le mani,
mi ci cascò l’anello.
Pesca ripesca, pescai un pesciolino
color  turchino.
lo portai a Monsignore,
Monsignore non c’era;
c’erano le sorelle
che facevan le frittelle.
Gliene chiesi una,
la misi sul banco;
il banco era rotto,
sotto c’era un pozzo.
il pozzo era cupo,
dentro c’era un lupo.
Il lupo era vecchio
e non sapeva rifare il letto.
La gatta in camicia,
scoppiava dalle risa.
Infine, questa, che me la raccontava la mia mamma. Racconta che era nel suo libro di prima elementare, si trattava di una di quelle poesie che facevano imparare a memoria ai bambini. Ci piace molto ma la natura dolce e protettiva di Coco esce continuamente fuori e inizia a farsi domande sulla povera mamma dei pulcini che quando tornò dai suoi piccoli non li trovò più perché la volpe se li era mangiati e talvolta ci rimane male!

Tre pulcini andando a spasso
incontrarono la volpe,
che veniva passo passo,
leggiucchiando il suo giornal.
“Buonasera signorina”
disser subito i pulcini.
“Buonasera miei piccini
e di bello che si fa?”
“Poiché mamma è andata fuori,
siam usciti dal pollaio,
vogliam fare un po’ i signori
svolazzando qua e  là”.
“Bravi, bravi per davvero!
Voglio stringervi la mano”
Così detto si appressò
e, glù glù, se li mangiò

2 commenti:

  1. Non ci crederai, ma Cavallino ria rò me la cantava mia nonna da piccola. Pur non essendo toscana, per dieci anni ha vissuto a Piombino. Che l'abbia imparata lì e poi esportata a Trieste con me? Misteri delle filastrocche migranti! Quella però la cantava con delle variazioni...c'era un "Per la biada che ti do".

    RispondiElimina
  2. ma sììì hai ragione!!!!!!!! era prendi la biada che ti do!me ne ero dimenticata completamente e poi non poteva essere altrimenti io vengo proprio da lì, vicinissimo a dove tua nonna abitava. ora correggo, grazie!

    RispondiElimina