Fatma è ormai
vecchia, incartapecorita, astiosa e con molti rimorsi ma soprattutto con un
profondo odio verso quel nano che la riverisce giorno e notte, che si prende cura di lei ventiquattro ore su ventiquattro
e che sta lì a ricordarle continuamente l’adulterio che suo marito ha commesso,
mettendo al mondo altri due figli fuori del matrimonio. Quel nano sta lì a
ricordarle quanto la sua malvagità non abbia avuto limiti quando, ancora
piccoli, li ha presi a bastonate e trasformati in storpi. E lei vive ricordando
la vita che ha fatto, il marito che ha amato, detestato, odiato per tanti anni,
in un turbine mai fermo di passioni contrapposte, paura, desiderio, ribrezzo,
odio; vive ricordando la sua immobilità, relegata per anni nella sua stanza, a
contare i gioielli ognuno dei quali raccontava un episodio della sua vita di
ragazza quando ancora abitava ad Istanbul e frequentava le figlie di un Pascià.