martedì 19 luglio 2011

La zattera di pietra

A Cerbère la terra si spacca, i Pirenei si aprono e la penisola spagnola inizia ad allontanarsi dall’Europa e dalla Francia e prende a vagare per l’Oceano come un’enorme zattera di pietra. Lo sconforto è grande, improvvisamente gli Spagnoli e i Portoghesi si ritrovano da soli in mezzo al mare, sempre più lontani dall’Europa che prima rappresentava sì una fastidiosa seccatura, quando chiedeva il pagamento delle tasse, ma anche una sicurezza; cambiano gli assetti politici e la penisola si trova davanti alla scelta di continuare a sentirsi europea e quindi cercare l’aiuto dei governi del vecchio continente oppure dirigersi verso l’America del sud o verso gli Stati Uniti, in fin dei conti la percentuali di Ispanici presenti in quel continente e ancora oggi culturalmente vicini alla Spagna e al Portogallo sono molti.


Intanto,  la popolazione sente l’evento come una sorta di fine del mondo in cui chi sta al mare decide di andare in montagna, chi sta in collina va verso il mare, insomma una grandissima confusione, in cui il popolo viene preso da un panico generale e fomentato dalle incertezze e dai dubbi irrisolti dai mezzi di comunicazione e dalla politica che si dimostra, davanti ad un’emergenza simile, del tutto inadatta e impreparata. La popolazione si lascia andare a gesti imprevedibili, ci sarà una vera e propria transumanza di famiglie con bambini e vecchi al seguito che viaggiano a lungo per vedere passare la roccia di Gibilterra e osservarla mentre finalmente se ne liberano una volta per tutte;  una rivolta da parte della popolazione dell’Algarve che chiede di alloggiare negli alberghi della costa; un’altra rivolta, questa avvenuta nel resto d’Europa, dopo che il Parlamento europeo  ha deciso di non aiutare più la penisola lasciandola a se stessa. Insomma, il distacco non è solo fisico e comporta tutta una serie di conseguenze per la popolazione ma anche per la politica e l’economia, senza contare i problemi interni tra Spagna e Portogallo.


Tra la popolazione ci sono tre persone che poi diventeranno quattro e poi cinque e poi sei che decidono di stare insieme, di affrontare compatti, ognuno con la propria storia, l’emergenza, il presente confuso e mutevole e il futuro. Si sono incontrate per caso, uno sa gettare nell’acqua sassi  pesantissimi, molto più pesanti di quanto potrebbe fare un uomo della sua statura e del suo peso, uno  sente la terra che trema sotto i piedi anche quando i sismografi non rilevano alcun tremore, uno si fa accompagnare  da un intero stormo di storni. Si sentono soli, incompresi, quasi dei fenomeni da baraccone, loro stessi sono increduli davanti ai miracoli che sono in grado di fare, ma insieme si fanno forza e riescono ad affrontare meglio la loro condizione. Appena arrivano a Lisbona trovano una donna che si sente responsabile del distacco di tutta la penisola, avvenuta semplicemente tracciando un solco in terra con una bacchetta di olmo. Dopo avere incontrato un cane che chiede alla piccola comitiva di seguirlo e che li porta verso la casa di una donna forte e semplice che ha una grande matassa di lana turchina, l’equivalente della lana di decine di migliaia di pecore, decidono di viaggiare insieme vivendo in un carro. Il filo di lana turchina che lega insieme i polsi di Joana Carda con Josè Anaico e che a breve legherà quelli di Maria Guavaira e Joaquim Sassa e Pedro Orce con il cane (dai numerosi nomi)è quello che Maria Guavaira ha ottenuto disfacendo un calzerotto di quelli che si usano per contenere i soldi. Maria non sa spiegare perché il cane ne abbia preso un piccolo pezzo in bocca e abbia poi deciso di portare lì gli altri membri del gruppo ma sa, dentro di sé,  che stava aspettando Joaquim per iniziare una nuova vita.  Creeranno una famiglia, senza legami di parentela, un gruppo stabile; insieme decideranno di viaggiare per salvarsi dall’impatto con le Azzorre, ormai incombente. Continueranno a stare uniti anche dopo che lo scontro con le isole non è miracolosamente avvenuto, decideranno di stare insieme cercando di mettere in piedi un‘ attività economica  e di separarsi solo quando la deriva della penisola non rappresenta più un momento di sovversione dello stato naturale delle cose e l’idea di vagare per il mare su una zattera di pietra non è più un motivo di preoccupazione anzi  si è trasformato nella condizione normale di quelle terre e quindi i nostri protagonisti sono in grado di riprendere la propria vita e le proprie attività senza paura alcuna.
Anche in questo testo troviamo, come spesso accade in Saramago, un evento che ha dell’incredibile, che sovverte l’ordine naturale e che dopo un momento di panico e dopo un tentativo di sovversione dell’ordine sociale e politico si trasforma in normalità. Sembra dovere accadere la fine del mondo e invece piano piano tutto torna come prima, l’uomo cerca di fare fronte alle difficoltà con i propri mezzi e alla fine si abitua al nuovo ordine e ritorna alla regolarità del quotidiano. Davanti alle grandi paure, l’uomo gioca la carta della famiglia, non nel senso stretto dei parenti ma piuttosto della famiglia fatta da persone che si scelgono tra di loro e che stanno bene insieme. Quello dell’evento magnifico che ha quasi del miracoloso è un topos classico per Saramago che in molte altre occasioni lo utilizza, basti pensare alle Intermittenze dalla morte o a Cecità. Da qui partono le varie storie degli uomini e delle donne che spesso fanno gruppo per affrontare l’emergenza e che solo alla fin, quando tutto ritorna normale, si separano di nuovo, semplicemente così come si erano uniti. Nel caso de “ La zattera di pietra”, la penisola non smetterà di vagare, il testo, infatti, non ci dice se si è fermata ma di sicuro i nostri protagonisti non hanno più motivo per stare insieme. Pedro Orce è morto, la fine del viaggio corrisponde con la fine della sua vita, del suo cane non sia ha più notizie, gli altri tornano alla loro occupazioni, riprendendo probabilmente quello che facevano un tempo.
Saramago come sempre stupisce. In questo testo non c’è niente di nuovo eppure i suoi libri sono sempre una scoperta, vi si trovano la ripetizione di uno dei suoi topoi più frequentati ovvero: evento irreale, realtà scossa dall’evento, tentativo di ripristinare un ordine sociale grazie ai sentimenti e alle persone ed infine risoluzione del fatto “miracoloso” che ha sovvertito l’ordine delle cose (che in “La zattera di pietra” manca) e ritorno alla normalità. Eppure, ancora una volta, Saramago farcisce il tutto della sua grande ironia, di lirismo, di descrizioni commoventi, di complessità e di semplicità. Un melange che solo lui è in grado di  costruire e dosare nelle giuste proporzioni.
José Saramago, La zattera di pietra, 1986

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